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Torna di prepotenza nel dibattito pubblico, la “questione settimana corta”. Si tratta di un aumento delle ore giornaliere tra il lunedì e il giovedì, per concedere il venerdì libero ai dipendenti.

Questo avrebbe ricadute benefiche sia sulla produzione che sulla società. Sul versante della produzione, è stato osservato come l’ora in più in coda alla giornata abbia un tasso di efficacia produttiva maggiore rispetto alla prima ora della giornata, di solito adibita a una sorta di ambientamento alle attività. Chiaro che questo vale per tutti, ma sicuramente il venerdì ci può essere già un occhio al weekend e le attività potrebbero essere più rallentate. Non solo, sapere di avere una settimana di quattro giorni, spingerebbe i lavoratori a concludere con più solerzia i compiti affidati, percependo a livello inconscio di avere meno tempo a disposizione e quindi arginando il rischio della procrastinazione.

E poi c’è la questione sociale. Più tempo libero per le persone vuol dire più consumi e più economia reale che gira.

La questione è tornata alla ribalta in seguito all’iniziativa del Gruppo Intesa Sanpaolo, il quale, ha deciso di sperimentare tale modifica dell’orario di lavoro per i propri dipendenti. L’innovazione potrebbe costituire per il futuro una best practice per ulteriori aziende, di qualsiasi dimensione e settore.

L’eventuale introduzione anche nel nostro paese della c.d. settimana corta si inserisce in un dibattito economico-giuridico già ampiamente presente all’interno dei paesi europei. La settimana corta, infatti, è in fase di sperimentazione in molti stati del vecchio continente come Belgio, Spagna e Regno Unito.

Il primo Stato a sperimentare la settimana corta su larga scala, difatti, è stata l’Islanda tra il 2015 e il 2019. I dipendenti, in questo caso, si sono visti ridurre le ore lavorative settimanali a condizioni inalterate dal punto di vista del salario e dei benefit. I risultati sperati dal governo islandese si sono avverati, con un generale aumento della produttività dei dipendenti inclusi nella sperimentazione.

L’adattamento delle misure alla produttività

Tutto bellissimo, ma c’è un MA. Secondo i dati Ocse 2021, l’Italia è uno dei paesi industrializzati del mondo che lavora in proporzione di più, ma che si contraddistingue, al contempo, per una bassa produttività. Tra i grandi paesi europei, l’Italia è quello in cui si lavora per più ore, con 1.668,5 ore lavorate in media da ogni lavoratore in un anno. (fonte https://formiche.net/2022/10/settimana-corta-lavoro-italia/)

Un dato che dice molto su di noi, purtroppo.

Il punto, quindi, non è la settimana corta, ma lo studio di misure che siano in grado di accrescere la produttività e di aumentare il benessere aziendale per il bene di tutti.

Qualora, quindi, l’introduzione della settimana corta non sia accompagnata da un efficiente impianto produttivo in grado di generare produttività, probabilmente il rischio è che ciò non si traduca in miglioramenti macroscopici in termini di competitività sui mercati.

E per i Tirocinanti?

Per loro, il consiglio è quello di estendere il più possibile la loro presenza in azienda. Estendere non intensificare. I tirocini formativi, sia curriculari che extracurriculari, sono soggetti a specifiche fonti di normazione, che ne regolano le ore settimanali. Queste ore posso essere spalmate o concentrate.

Meglio estendere le giornate settimanali di tirocinio a tutti i giorni in cui l’azienda è aperta o, perlomeno, a tutti i giorni in cui il tutor è (ovviamente) presente.

Una nuova risorsa avviata a un percorso di formazione ha bisogno del massimo coinvolgimento nel mondo aziendale.

Il tirocinio non è solo un percorso di formazione delle competenze professionali di base e specifiche, ma anche un’occasione per legare una risorsa alla causa aziendale, ponendo concreti presupporti per la prosecuzione del rapporto.

Se una risorsa senior trae giovamento dalla settimana corta, va bene. Per un tirocinante, meglio settimane lunghissime.

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